Nella nostra agenda c’è lo sciopero sociale
Domenica 12 l’Internet festival aveva invitato, come relatrice per un’iniziativa dal titolo “Agire per l’agenda”, il ministro dell’istruzione Stefania Giannini. Malgrado la sua mancata presenza, siamo spinti a elaborare delle riflessioni collettive davanti alla scelta di ospitare a Pisa la ministra, impegnata in questi giorni in un tour di promozione della riforma della scuola, in piena coincidenza con lo spirito di innovazione e cambiamento promosso dal governo Renzi.
Questa retorica del cambiamento promuove al contrario qualcosa di vecchio e già visto, a partire dal problema del finanziamento della scuola pubblica. Nessuno dei tagli promossi da Gelmini e Tremonti è stato ritirato, ma anzi l’ex ministro dell’istruzione si è congratulata con Renzi e il suo governo per la “messa a regime di riforme approvate dagli ultimi governi di centrodestra”. Questa “messa a regime” coincide con l’ingresso nella scuola dei privati i quali godranno del lavoro degli studenti degli istituti tecnici e professionali, ai quali sarà imposto negli ultimi tre anni di formazione di svolgere 200 ore di alternanza scuola-lavoro l’anno (in media un ora al giorno); ore che si andranno a sostituire alla didattica e che, se sommate ai tagli messi in atto dalla Gelmini, comportano la perdita di un intero anno scolastico rispetto alle classi pre-riforma. Tutto ciò inserito in un contesto nel quale non esiste una carta dei diritti per le studentesse e gli studenti in stage, che quindi verranno proiettati in un mondo del lavoro del tutto precario, costretti ad accettare un contratto impostogli da aziende private, senza la minima tutela o garanzia.
Il Piano Scuola ha riassunto quanto di peggio i governi degli ultimi 20 anni hanno cercato di imporre alla scuola pubblica – incontrando una forte resistenza – nascondendolo dietro la proposta dell’assunzione di 150 mila precari delle GAE (graduatorie ad esaurimento) entro il 1 settembre 2015. Ma guai a sottovalutare che sotto il manto della promessa “epocale” le 136 pagine del piano prevedono l’espulsione di molte decine di migliaia di precari che spesso hanno altrettanti anni di lavoro malgrado non siano inseriti nelle GAE e che meritano anche essi l’assunzione e non la beffa di un ulteriore concorso per 40 mila lavoratori/trici e la perdita persino delle supplenze. Inoltre, il piano-Renzi è la “summa” di tante distruttive proposte per scuole-aziende dominate da presidi-manager, da lotte concorrenziali tra docenti ed Ata per qualche spicciolo in più, da valutazioni-quiz del lavoro docente e delle scuole, da apprendistato nelle imprese invece che istruzione.
Il legame con le aziende non riguarda solo la questione economica,ma la promozione dello stesso spirito aziendalistico all’interno del mondo della formazione, mediante i sistemi di valutazione e “premi carriera”. La “Buona Scuola” della Giannini è una vera e propria azienda, in cui un preside/manager plenipotenziario gestisce una task-force di docenti precari che dopo anni di parcheggio forzato in gradutorie ad esaurimento verranno assunti, ma solo “a chiamata”. Certo, sono previsti degli «scatti di competenza» ogni sei anni che però riguarderanno solo il 66% dei docenti.
Gi effetti dell'”aziendalizzazione” della formazione, alla cui minaccia ci siamo opposti con forza durante i cicli di mobilitazione degli anni passati, sono ora tangibili e pervasivi di qualunque aspetto della produzione del sapere. Le università, ormai luoghi dequalificati e svuotati di qualunque ruolo sociale, sono riproduttori di precarietà, già dal momento dell’ingresso: la retorica del merito e della valutazione, infatti, ha come unico scopo la creazione di un dislivello sempre più marcato, all’interno del deserto del sistema universitario, tra i pochi poli di presunta o autoproclamata “eccellenza” e tutto il resto. Saranno proprio queste “punte di diamante” gli unici fruitori degli investimenti, ovviamente scelti sulla base di logiche produttiviste e di mercato del tutto arbitrarie, in una letale commistione tra privato e pubblico (o, meglio, in un uso privato di quel poco che del pubblico resta in piedi). Sempre nella stessa direzione, anche la qualità e la caratterizzazione della didattica saranno ulteriormente modificate, incentivando la riproduzione di quelle formule di presunta formazione che mascherano lavoro gratuito e sfruttamento, in nome della possibilità di formare l’esperienza sul campo (“fare curriculum”) per quei settori in cui il mercato ha bisogno di nuove immissioni. Tirocini obbligatori, stage gratuiti, tutto accettato da un intero esercito di precari a cui verrà promesso un ingresso facilitato al mondo del lavoro, che probabilmente non avverrà mai: il modello Expo (e, in misura diversa, sul nostro territorio, quello dell’Internet Festival) che pervade le nostre esistenze.
La domanda da porre alla ministra Giannini sembra essere, quindi: a chi spetta una “buona scuola”? E cosa si può davvero racchiudere dentro questa definizione?
La nostra risposta, collettiva e determinata, è che la scuola non deve essere un’estensione delle aziende, la scuola deve tornare ad essere un luogo di formazione del pensiero critico e di libero scambio dei saperi.
Per questo come studenti e soggetti intermittenti, precari o esclusi dal mondo del lavoro stiamo costruendo e sperimentando forme di sciopero sociale, diffuso e radicale, che partano dalla messa in comune delle nostre rivendicazioni e dall’intrecciarsi delle nostre lotte.
Queste soggettività dichiarano che Renzi e gli esponenti del suo governo della precarietà non sono ben accetti nella nostra città.
All’elaborazione di strategie per l’informatizzaizone dell’agenda politica, lanciata dall’Internet Festival e dai suoi ospiti con lo slogan “Agire per l’Agenda”, noi rispondiamo che nella nostra agenda politica c’è lo Sciopero Sociale.
#socialstrike