Non è un paese per giovani. E la colpa non è nostra.
Una risposta a Francesco Cancellato (Linkiesta) da chi le lotte contro la distruzione dell’università e della ricerca le ha fatte davvero. Tutte quante.
Il giorno dopo i complimenti pubblici rivolti sui social dal ministro dell’istruzione Giannini ai 30 ricercatori italiani vincitori di un’importante fondo di ricerca europeo, è diventata virale in rete la risposta di Roberta D’Alessandro, vincitrice di uno di quei fondi: più della metà di quei “cervelli”, sostiene la ricercatrice, non è più in Italia, ma sta conducendo studi con altre università europee.
Non ci interessa qui soffermarci sul post in risposta al ministro, nel quale la ricercatrice sottolinea come in Italia sia stata scavalcata da altri che in fondo non si “meritavano” di passarle avanti: sappiamo bene che la meritocrazia, spesso indicata come panacea dei mali della ricerca e dell’università italiana, è in realtà uno strumento per creare divisioni tra i pochi che “eccellono” e i molti a cui sono riservate le macerie. E non ci interessa neppure ripetere il ritornello per cui chi lascia l’Italia è da ritenersi “cervello in fuga”, mentre chi rimane è pur sempre un “bamboccione”, quando è invece evidente che il futuro dentro e fuori l’università in Europa è sempre più precario.
Vogliamo piuttosto porre l’accento su altro: mentre il ministro Giannini provava a rimediare alla figuraccia, c’è chi crede di aver trovato il vero colpevole delle condizioni disastrose in cui versano università e ricerca in Italia. Francesco Cancellato, il direttore de Linkiesta, ci aiuta a trovare i responsabili.
Non si tratta della graduale ma inesorabile riduzione dei finanziamenti all’Università e alla ricerca, imposti da svariati ministri, tra i quali ricordiamo l’amatissima Gelmini, che oltre alle mobilitazioni del 2010 ci ha regalato il via libera a una riduzione del Fondo Finanziamento Ordinario e il blocco del turnover, o del ministro Poletti, che sostiene che la ricerca sia un’attività prevalentemente formativa e dunque slegata dall’indennità di disoccupazione. >Non si tratta nemmeno di una classe dirigente che trova i soldi solo per grandi opere, spese militari e per l’emergenza del mese. Nemmeno si può dare la colpa ad un sistema universitario sempre più clientelare, in cui lo sfruttamento del lavoro sottopagato o non retribuito sta diventando il pilastro che sostiene la ricerca.
Niente di tutto questo attira l’attenzione di Cancellato, che ci propone un’altra ricostruzione dei fatti: “Cara Roberta, se la ricerca in Italia fa schifo la colpa è anche un po’ tua”. Sua, perché non ha fatto i nomi e cognomi dei raccomandati, non si è sacrificata sull’altare dell’onestà intellettuale. Poi, ci esorta il giornalista, “scendete in piazza, piuttosto”, invece di “stare zitti, incassare, tuttalpiù scappare e, se si è bravi, fare carriera altrove”.
Forse l’autore non era presente, ma di lotte contro lo sfacelo dell’università e contro la precarietà ce ne sono state parecchie negli ultimi anni. Tanti e tante hanno provato a “farsi sentire”, anche senza essere “al sicuro in Olanda e con un sostanzioso assegno di ricerca in mano”, e l’hanno fatto ricevendo in risposta solo false promesse, quando non manganelli e denunce. D’altro canto il campanello d’allarme sulle condizioni degli atenei sembra trillare solo quando un brillante ricercatore vince qualche premio in un paese straniero, e non quando centinaia di studenti denunciano di non avere più accesso alle borse di studio, dipinte ormai più come premi che come diritti.
Oggi Linkiesta ci ha insegnato che l’Italia non è solo il Paese della nuova emigrazione, dove quasi un giovane su tre non ha lavoro, e gli altri si perdono nella giungla di contratti precari post-jobs act, dove chi misura le onde gravitazionali è un precario da 1500 euro al mese. L’Italia è anche il Paese in cui un giornale online si può permettere di cercare visualizzazioni accusando i giovani allo stesso modo dei ministri che di volta in volta si sono arrogati il diritto di fare a pezzi una generazione: choosy, fannulloni, troppo attenti al 110 e Lode, ora anche colpevoli di “preferire la fuga alla lotta”!
Andare all’estero è una scelta legittima come tante altre: non esistono gli eroi che restano e i vigliacchi che fuggono, come non esistono i brillanti che fuggono e gli sfigati che restano. Esistono però l’arroganza e il disprezzo con cui giornalisti, ministri e baroni da anni continuano a sputare addosso a un’intera generazione.
Caro Francesco Cancellato, se questo non è un Paese per giovani, forse la colpa è anche un po’ tua.