Dalla nostra parte della #Rete.
Nella mattina di Venerdì 29 Aprile nel Cnr Pisa si è tenuta la celebrazione per il trentennale dalla prima connesione web italiana, per la quale era stata annunciata la partecipazione del premier Renzi e del ministro Giannini.
Le realtà sociali cittadine si sono organizzate per mettere in campo una contestazione al primo ministro che, partendo dal centro cittadino, sarebbe arrivata in corteo fino al CNR, intorno al quale era stato tracciato il confine di un’ampia zona rossa, che avrebbe impedito la circolazione dei cittadini per l’intera durata dell’evento.
Se fino alla sera del 28 era solo una voce di corridoio, nella mattinata del 29 aprile l’assenza di Matteo Renzi diventa notizia ufficiale: come di consueto, una volta balenata l’ipotesi di essere contestato, il premier ha deciso di inventarsi una scusa di comodo per non presentarsi; non a caso, questa prassi diventata ormai abituale ha suggerito a qualcuno la creazione di una mappa interattiva, collegata all’hashtag #RenziScappa, per segnalare tutte le “fughe” del premier dagli appuntamenti annunciati in giro per la penisola.
Nella mattina di venerdì proprio questo hashtag è diventato trending topic su Twitter, restando poi per tutta la giornata uno dei temi più discussi proprio su quella Rete che Renzi veniva a celebrare.
Infatti, come a Pisa ci si è ormai abituati a sentir raccontare – durante il periodico evento-vetrina dell’Internet Festival – anche questa volta la narrazione che Renzi ha cercato di proporre riguardo il Web è quella di una Rete unificatrice, pacificatrice del conflitto sociale.
Tanto che, a fine giornata, il premier ha avuto il coraggio di dichiarare che non avrebbe compreso le contestazioni, poichè non comprendeva come si potesse “contestare Internet”. Oltre alla egocentrica e quasi grottesca identificazione tra la propria persona e il Web, questa affermazione nasconde un conflitto ben più profondo.
Stanno dicendo davvero che a #Pisa i dimostranti «contestavano Internet». Cioè Renzi è Internet. Rendiamoci conto.
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) 29 aprile 2016
Mentre Matteo Renzi si è presentato al mondo come l’alfiere della nuova politica, che parla ai giovani mediante il linguaggio che appartiene loro, fatto di informatica e slang anglofono, il castello di carte costruito intorno a questa immagine sta inizianodo a crollare giorno dopo giorno sotto gli attacchi anche di una comunicazione sulle reti sociali decisamente poco generosa con l’operato del premier.
Un’intera generazione che attraversa scuole e università, ma anche precaria e più o meno costretta ad emigrare verso il nord Europa, sta progressivamente dimostrando la propria refrattarietà alla vuota retorica renziana con le armi della viralità e dell’ironia: dai celebri video che dimostrano le non proprio spiccate abilità del premier con le lingue straniere – che pure definisce fondamentali per chi vuole entrare nel mondo del lavoro (Shish!) – ai meme e ai tweet che hanno organizzato, contro la censura di Stato, una vera e propria campagna referendaria dal basso che ha portato, in poche settimane, 16 milioni di italiani a votare.
No, Renzie, la Rete non sei tu. La Rete, al contrario, ti smaschera, ti deride, ti spaventa.
A causa di questa paura, la presenza anche solo virtuale di Renzi al Cnr di Pisa – era in conferenza skype – è stata difesa con un assetto bellico che ha militarizzato l’intera città, chiudendone intere parti mediante spropositate presenze di cordoni e camionette della polizia.
Al confine di questa “zona rossa”, abbiamo allora scelto di distendere una rete metallica tra noi e le camionette della polizia: l’unica frontiera è quella che ci divide da quanti, come Renzi, si riempiono la bocca con la parola “umanità”, mentre questa stessa umanità ogni giorno la umiliano, la massacrano e la ricattano tramite i dispositivi del debito, del lavoro, dello sfruttamento, o stabilendo e avallando politiche internazionali scellerate in materia di immigrazione.
Con questo gesto abbiamo voluto evidenziare con forza chi sta di qua – precari, migranti, lavoratori in lotta, famiglie sfrattate – e chi sta di là dalla rete – palazzinari, lobby, forze dell’ordine al servizio dei potenti. Niente potrebbe essere più lontano dalla narrazione patriottica e razzista messa in campo da Renzi, che inneggia, amareggiato, alla pacificazione sociale mentre fa aggredire, nelle piazze, chi prova a dissentire al suo progetto. (Renzi, ma la tua scorta non era la gente?!).
Sulla rete compariva una grande bandiera dell’Europa le cui stelle erano, emblematicamente, costituite da filo spinato: il simbolo della vergogna della Fortezza Europa, trasformatasi oggigiorno in un’enorme zona rossa dalla quale vengono quotidianamente respinti centinaia di uomini, donne e bambini che attraversano il Mediterraneo, che scavalcano i confini e per questo vengono chiamati clandestini o rinchiusi nei CIE.
Essere solidali con questi uomini e queste donne non è solo un gesto umanitario: significa riconoscere la stessa violenza arrogante dei potenti che hanno bisogno di confinare e dividere coloro che opprimono per ridurli al silenzio.
Dalla stessa parte della rete ci sono anche i tanti studenti e lavoratori delle strade di Parigi che, in un clima di solidarietà attiva con i migranti, da più di un mese portano avanti il loro “marzo di lotta”, la loro #nuitdebout contro la Loi Travail.
Questo movimento, nato contro una legge straordinariamente simile al Jobs Act renziano e che tanto ci riguarda per la sua portata generazionale e per il suo uso innovativo della rete e dei nuovi media, sembra essere ignorato dai mezzi di comunicazione italiani, mentre fa notizia in tutta Europa. Come già avvenuto entro i confini nazionali con la campagna di (dis)informazione vergognosa messa in atto a proposito di un referendum – quello dello scorso 17 Aprile – che il governo si è ripromesso esplicitamente di boicottare, vediamo in atto un sistema di gestione dell’informazione in cui il peso politico della censura renziana fa da padrone: come al solito, gli spazi di democrazia che si creano dentro e fuori dal territorio nazionale terrorizzano il primo premier che vince finchè nessuno esprime la propria opinione.
Durante la giornata del 29 Aprile, non solo alcuni attivisti sono rimasti coinvolti in immotivate quanto spropositate cariche della polizia, ma sono stati feriti anche diversi giornalisti e videoreporter – tra cui due operatori di RepubblicaTV. Proprio tramite la rete, sono state diffuse ovunque le immagini della caccia all’uomo che le forze dell’ordine hanno messo in atto nei confronti di chi stava portando avanti il proprio lavoro di cronaca. Giornalisti che erano in grado di testimoniare con foto e video da vicino le violenze immotivate di polizia e carabinieri sono stati colpiti – intenzionalmente – da ottusi manganelli, tanto da spingere l’Associazione Toscana Stampa a scrivere un comunicato per chiedere un comportamento di maggiore tutela per i propri iscritti.
Un atteggiameno che stupisce poco, quando si ha a che fare con governi non democratici. Eppure, in questa occasione, internet è servito come cassa di risonanza di immagini e racconti in grado di vanificare, se non di mettere in crisi, la censura di regime.
È comunque necessario non cadere in semplificazioni e facili utopie tecnologiche: non attribuire alla Rete il ruolo di unico luogo di democrazia diretta nè credere in un attivismo digitale slegato da una prassi politica che porti le persone ad incontrarsi e ad attraversare il mondo non-virtuale; al contrario, all’interno dello spazio messo a disposizione dalla Rete, così come per le strade, nelle città, nelle università, sui posti di lavoro, si aprono spazi collettivi di creazione di senso politico, nei quali, ora più che mai, è necessario prendere posizione e intrecciare legami.
Legami che partano da condizioni diverse ma da intenti affini, e da una stessa certezza: l’agibilità politica che le istituzioni di questo Paese mettono a disposizione oggi è nulla quanto la tenuta democratica che garantiscono. Allora è importante porre una rete, una rete che non solo protegga la piazza, ma che ponga un confine dove rilegare il potere, che sappia mettere a nudo i meccanismi di assoggettamento camuffati da processi di liberazione. È finito il tempo in cui chiedere riconoscimento alla controparte – anche solo del nostro ruolo antagonista – ed è giunto il momento di creare gli spazi in cui riconoscersi, incontrarsi, autorganizzarsi. Stare da questa parte della rete, essere sulla rete, fare rete.