9 Aprile

“…Da allora quando lavoro
mi guardo bene dallo sprofondarmi troppo in quello che faccio.
Mi impongo più d’una volta di guardarmi in giro,
talora interrompo il lavoro per conversare con qualcuno.
Mi sono disabituato ad andare così forte
da non poter fumare. Penso
al passeggero”.

Da “Il passeggero” di Bertolt Brecht

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Oggi è il 9 Aprile, e fuori piove. Piove, e in questa città non succede altro che valga la pena notare: pioggia significa ombrello, piedi bagnati, zaino bagnato e lentezza. Quando piove non puoi sfrecciare in bici, i freni non funzionano bene, non puoi camminare troppo in fretta, potresti scivolare, devi camminare con più attenzione, guardare bene dove vai e cercare di evitare gli spruzzi provocati dagli automobilisti frettolosi. Sì, la pioggia è lentezza e nel 2048 lentezza è uguale a sconfitta.

Oggi è il 9 Aprile 2048, una giornata come tutte. Cammino con l’ombrello e fumo la sigaretta che ho accuratamente preparato mentre la colazione cuoceva nel microonde. Mi guardo un po’ intorno: schermi led giganti mi suggeriscono di comprare l’ultimo Smartphone con un’app. che segnala al capo ufficio la posizione minuto per minuto (così lui non può avere nulla da dire se arrivi in ritardo a causa del traffico), mentre un altoparlante sulla sinistra grida il mio nome e mi sbraita di buttare la pianta di basilico che ho sul balcone di casa. Sapete, bisogna essere molto attenti a quello che si mangia.

I tempi sono cambiati, l’aria è sempre più pesante e cucinare in maniera sana è sempre più complicato. Fino a pochi anni fa c’erano famiglie che coltivavano orti nei giardini intorno casa, o addirittura sui balconi. Oggi, invece, se vuoi coltivare ortaggi, oltre alla cura quotidiana, per legge devi nutrirli con il RoundUp Platinum; se vuoi preparare uno sformato di verdure, devi necessariamente lavarle con un disinfettante approvato e cuocerle a lungo prima di metterle sotto i denti; e molto spesso noi persone comuni non siamo in grado di farlo. Per fortuna, qualche anno fa, sono nati i grandi stores di cibi precotti, 5 minuti al microonde e tanta salute!

Finalmente arrivo a lavoro: ufficio brevetti, secondo piano, stanza 12-bis. Ogni giorno qualcuno viene e tenta di mettere la firma su qualcosa che ha inventato o scoperto: una famosa marca di telefoni ha addirittura brevettato le dimensioni rettangolari del proprio smartphone. Ogni giorno esco di casa indossando gli stessi abiti: camicia, giacca, pantaloni, cravatta in tinta – è sempre buono, mostrare di tenerci, all’aspetto – e scarpe di cuoio. In effetti non indosso altro da molti anni. Alle 8:00 comincia il mio turno alle 16:00 in punto finisce.

Quando esco ho fame e mangio alla mensa lì vicino. Il costo del pasto è diviso per grado: un dirigente paga 4.00 euro, io, come tutti gli impiegati, ne pago solo 2.80. Ci mettiamo in fila pazientemente, a volte ci rimaniamo per molti minuti perché i turni di tutti finiscono nello stesso momento. Ho esattamente un’ora per fare la fila, scegliere il pasto e mangiare. I cibi sono sempre gli stessi: precotti inscatolati, incellophanati, plastificati, pasta scondita e scotta, budini e yogurt. Per me il cibo non ha più né sapore né odore, e la fretta, e l’ansia di non fare in fretta, attorcigliano lo stomaco: la fame scompare

Dopo 40 minuti di fila, finalmente posso cercare un posto per sedermi. Certe volte si è costretti a mangiare in piedi perché alcuni di noi si dimenticano di quanto valga il tempo e cominciano a chiacchierare. E oggi è una di quelle volte, mangio in piedi in 5 minuti: il tempo scorre e io ho solo 10 minuti per finire il pasto prima che suoni la sirena.

Ho 45 anni. Quando mi stavo laureando in Ingegneria Biomedica non pensavo certo che avrei fatto questa fine. A quei tempi non si andava così di fretta, o almeno non c’erano altoparlanti, video e schermi in ogni angolo della città che ti suggerivano di farlo. C’era però già l’idea di forzare l’umanità a vivere velocemente.

Presi la laurea triennale in 3 anni e 4 mesi senza riuscire a ottenere il massimo dei voti. Già dopo i primi giorni mi avvertirono che quella manciata di mesi sarebbero stati di troppo: il corso di laurea era stato pensato e programmato per essere concluso in 3 anni e anche in America, aggiunsero, funzionava così. Punto. Mandai curriculum a qualsiasi azienda potesse essere interessata al mio lavoro, ma non ricevetti alcuna risposta. Decisi di trascorrere qualche mese a Londra per imparare l’inglese, lavorando come barista. Tornato in Italia, nonostante fossi riuscito a specializzarmi in 2 anni, ero già troppo vecchio. Ero troppo vecchio, ormai, perché quei 4 mesi mi avevano invecchiato al punto da rendermi inadatto al mio lavoro. Pensavo che avessero ragione: se non sei in grado di fare tutto per tempo non è giusto che qualcuno ti offra un lavoro, quando c’è chi se lo merita più di te, chi non ha perso tempo dietro all’inglese maccheronico che impari solo chiacchierando al pub tra una birra e l’altra, alle serate tra amici, al divertimento. Una mia vecchia amica, Luisa: lei sì che è riuscita nella vita! E non è stato poi così difficile: l’inglese lo ha imparato caricando sul suo lettore mp3 un corso online, e le bastava fare un pasto, esattamente a metà giornata, così da star bene tutto il resto del tempo. Lei sì, che ha fatto una bella vita: appena laureata ha trovato lavoro ed ora è a Sidney, alla mensa aziendale sta sicuramente nella fascia più alta e si gode i meritati frutti dei sacrifici affrontati tra i quattordici e i ventitré anni – non di più, che poi sei vecchio. Forse ora le concedono di fermarsi, ogni tanto. Forse. Lei, che faceva colazione con un tè senza zucchero; mentre io aspettavo che il latte, riscaldato nel dormiveglia, penetrasse in ogni singolo poro del biscotto prima di addentarlo. Forse no, forse ha solo imparato a correre prima e meglio degli altri, e non smetterà di farlo.

Oggi, 9 Aprile 2048, comincio a sentirmi solo. Sono solo perché al tempo non interessano amici e amiche, volti e abbracci, il tempo non guarda alla cura delle persone e degli oggetti. Sono solo perché mi hanno insegnato che se non perdi tempo arrivi più lontano, più in alto, ci arrivi solo tu, e io, perdente vaccinato in cerca di rivincita, me la sono bevuta fino in fondo. Eppure oggi, 9 Aprile 2048, qualcosa è successo. Incontrollabile, imprevisto, un nonnulla, e tutto cambia.

All’uscita di lavoro lo incontro. Lui è bello e giovane. È appena stato assunto, con un contratto mensile s’intende, e nonostante la certezza di poter mangiare per tutto il mese non è felice e si vede chiaramente dai suoi occhi. Non è felice e cammina lentamente: l’avevo notato già all’ingresso ma andavo troppo di fretta per fermarmi a guardarlo più di un istante. L’avevo visto fermo di fronte ai tornelli della fabbrica. Fermo? FERMO? Qui nessuno è mai fermo. All’uscita mi fa un cenno e mi chiede il nome; vuole qualche dritta su come resistere ad un lavoro che reputa tanto terribile e io mi sono sentito in dovere di dirgli che i giovani di oggi non devono essere esigenti, devono adeguarsi e abituarsi a questo tipo di lavoro, imparare a correre sulle loro gambe, a sopportare la fatica. Eppure sento che quell’uomo non ha bisogno di queste parole. Mi sorride. E mi risponde che ha trovato troppo estenuanti gli orari di lavoro, che il cibo fa schifo e che in fondo sono io ad aver accettato come normale tutta quello che lui non riesce a sopportare. Che tutti questi altoparlanti, il rumore della pubblicità, il frastuono dell’istigazione alla corsa sono mezzi di controllo della vita, ti portano a inseguire miti e idee che non ti appartengono semplicemente inducendoti a non pensare e a non agire.

Mi invita a cena. Non è una pratica usuale: cucinare per due allunga il tempo di cottura dei cibi precotti al microonde di ben due minuti! Follia! Eppure, semplicemente invitandomi a cena, è riuscito a farmi sentire solo, inadeguato nei confronti di me stesso e della mia vita linda, sicura, apparentemente tranquilla e controllata. Vado con lui.

Ha dei vecchi fornelli a gas, un cimelio! E coltiva pomodori e melanzane sul balcone: un pazzo! Gli urlo che non avrei mai mangiato quella roba. Lui mi guarda con calma e mi chiede perché no. E io gli rispondo che è pericoloso, che non voglio morire di intossicazione alimentare, che sono intollerante al cibo fresco. E lui di nuovo: “cos’hai provato nella vita?”. Ecco. Non so rispondere. Proprio in questo momento tutte le mie parole non hanno più senso. Ho provato a correre più veloce di tutti? A cadere per terra e sbucciarmi le ginocchia? Ho provato a mettere il sale con le dita piuttosto che con il dosatore sterile? A coltivare il basilico sul mio balcone? Cosa ho provato? Lui sorride al mio silenzio, si avvicina e mi bacia.

Resto senza parole. Ho capito, finalmente.

Questo bacio è la rottura del mio schema, la distruzione di un ordine che qualcuno ha creato per me e che io ho accettato, senza rendermene conto. Quest’uomo mi fa pensare che c’è dell’altro, che ci sono gli altri.

Tornando a casa, decido che non giocherò più il gioco della dittatura del tempo. Mi siedo sul muretto di fronte all’ufficio e, per una volta, guardo con i miei occhi quello che succede intorno. Provo a fischiare a tutti quelli che passano, una ragazza si gira e mi sorride, un signore anziano alza il bastone per salutarmi. Comincio a lanciare i primi oggetti che ho sottomano, sassolini e rametti. C’è un mondo al di fuori di me e io voglio interagire con questo mondo, voglio parlarci, voglio urlargli! Vorrei lanciargli la stessa pietra che quell’uomo ha scagliato contro di me. E non sono necessari un masso o un albero intero.

Finalmente ho capito. In tutto questo sistema c’è una falla in cui è possibile infilarsi e da cui è possibile partire per ricominciare da capo: i rapporti con gli altri, le amicizie, le parole, i contatti. Il muro che questo mondo ha costruito intorno ad ognuno di noi ha delle crepe e ora so che non basta un po’ di stucco per coprirle definitivamente. È possibile individuarle e da lì ricostruire una vita nuova, diversa, aperta, calma e allo stesso tempo agitata dalla voglia di aprire squarci non solo con le persone che ti circondano ma con il mondo intero!

Oggi per me finisce il tempo della fretta, della noncuranza, della solitudine, della pulizia, del controllo. Oggi 9 Aprile 2048 inizia il mio tempo.

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