NoMuslimBan a Chicago: l’occupazione dell’aeroporto O’Hare
Un attivista che si trova a Chicago e che ha partecipato alle manifestazioni dei giorni scorsi racconta la protesta che ha invaso l’aeroporto O’Hare di Chicago contro il Muslim Ban e le politiche razziste e fasciste di Trump.
Cronologia dei fatti: Il 27 Gennaio 2017 Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha sospeso a tempo indefinito la ricollocazione dei rifugiati siriani, bloccato tutti gli altri profughi per 120 giorni e vietato per 90 giorni l’ingresso di cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen. L’ordine esecutivo ha avuto esecuzione immediata e il suo effetto distruttivo è risultato subito evidente nel momento in cui centinaia di famiglie e singoli sono stati bloccati in tutti gli aeroporti degli US senza alcun capo d’accusa se non quello di avere una nazionalità non americana. All’aeroporto JFK di New York, Hameed Khalid Darweesh, un interprete dell’esercito americano, è stato fermato per via della sua nazionalità. A questo punto, l’ACLU (American Civil Liberties Union) ha fatto causa a Trump presentando questo caso alla corte federale di giustizia. Un giudice federale di Brooklyn ha accolto il ricorso, bloccando il provvedimento di Trump dall’aver effetto e prevenendo la deportazione di rifugiati ed immigrati già presenti in suolo americano o in viaggio. Il giudice non ha dunque deciso nulla riguardo alla costituzionalità dell’ordine, ma ha solo interessato chi era bloccato in aeroporto. Non si sa il numero esatto di persone con green card o visti che sono state bloccate, ma si stima un numero pari a circa 100/200 persone. Domenica, un comunicato ufficiale della Casa Bianca ha assicurato che chi è in possesso di una green card non è considerato in questo provvedimento: ciò contraddice quanto inizialmente affermato, ossia che chi in possesso di qualunque visto sarebbe stato fermato, salvo poi valutare caso per caso. Intanto la protesta e la tensione è salita in tutti gli Stati Uniti.
Protesta: Una piattaforma di diverse associazioni che si occupano dei diritti di gruppi etnici (Arab American Action Network, Asian Americans Advancing Justice, United African Organization, Black Lives Matter, Alliance Against Racist and Political Repression, ecc.), sindacati, gruppi politici ed avvocati che si occupano di diritti umani hanno convocato conferenze stampa negli aeroporti di tutta America. Per quanto riguarda la situazione a Chicago, ho seguito il live della conferenza stampa di sabato. La protesta, iniziata alle 6 p.m. è andata avanti per ore poiché, dopo un giro di interventi di fronte all’aeroporto, la manifestazione si è spostata all’interno. Ai megafoni si susseguivano interventi di solidarietà ai migranti e di opposizione all’agenda Trump; all’interno invece di usare il megafono, le persone accanto a chi parlava ripetevano ad alta voce ciò che era stato appena detto. Molte storie di famiglie ricollocate in diversi stati e costrette a viaggiare da un paese all’altro sono emerse. Dopo un secondo giro di interventi, le persone si sono mosse in corteo fino a che un cordone di polizia non ha bloccato la marea umana. Non avendo più la possibilità di proseguire, il corteo è tornato all’esterno. I cori erano quasi del tutto incentrati verso la solidarietà verso i migranti “Let them in, let them in”, “No hate, no fear, refugees are welcome here” o “No ban, no registry, fuck white supremacy”. Non mancano riferimenti intesi in senso molto piu generalizzato di protesta, “not a moment but a movement: “tell me what’s democracy looks like, this is what democracy looks like”. Ovviamente, onnipresenti cartelli o slogan anti-Trump alla guida di un governo razzista e fascista: “No Trump, no KKK, no fascists USA!”. Il giorno dopo, è stato convocato un altro concentramento all’aeroporto: le parole d’ordine sono poche ma chiarissime. Parecchie persone nell’evento di sabato chiedevano come continuare la protesta e verso l’ora di pranzo si è svolto effettivamente un evento con un programma minimale (“Tonight! Continue the Rally from yesterday we will meet at Terminal 5 Departures (Upstairs) at 6pm. We stand again in Chicago as people continue to stand all over the US #NoBanNoWall We say #NoMuslimBan #100DaysofResistance”). In poche ore, l’evento ha raggiunto 3000 interessati e più di 1000 parteciperò.
Racconto: Il motivo per cui ci si vede alle departures e non agli arrivals è chiaro solo a chi è presente in aeroporto: le task force di avvocati che si occupano di diritti civili vanno avanti e indietro nei corridoi degli arrivi con cartelli di cartone realizzati a mano con scritto “free legal service” o “do you need legal service?” o “Looking for a layer?”. Al petto, molti di loro hanno scritto il loro nome con scritto sopra “attorney” per essere facilmente identificabili. La protesta quindi viene spostata a departures, meglio non disturbare il loro lavoro volontario con una massa umana che renderebbe per i migranti molto più difficile ricevere assistenza legale. Con l’esperienza del giorno prima, molti chiedono quale sia il modo migliore per entrare dentro l’aeroporto. Molti consigliano mezzi pubblici, altri dicono di essere venuti con Uber il giorno prima. No, Uber è contrario alle proteste usate Kyft, rispondono altri. I commenti sul gruppo sono più di centinaia, molti esprimono solidarietà, molti dicono che ci saranno pur venendo da stati limitrofi, altri dicono che dopo il lavoro arriveranno di certo sperando di trovare ancora qualcuno.
Dirigendomi verso il Terminal 5, capisco finalmente perché era così importante sapere come arrivarci in maniera safe. La polizia ha bloccato l’ingresso al parcheggio temporaneo adiacente al Terminal: arrivato lì di fronte, vedo che 3 macchine della polizia bloccano il passaggio e i poliziotti intimano alle macchine di circolare. Per fortuna, mi ricordo che uno dei consigli dell’evento fb è quello di dirigersi verso il parcheggio delle lunghe permanenze per poi prendere da lì la navetta gratuita fino al Terminal 5. Appena salito sulla navetta, mi accorgo subito che in quella navetta non ci sono normali viaggiatori ma diversi gruppi di manifestanti con cartelli, pronti a dirigersi al presidio. Accanto a me, una famiglia sorridente che chiacchiera felice: il bambino sta finendo di colorare il proprio cartellone con su scritto “No ban, muslims are welcome here!”. I cori cominciano a sentirsi prima di vedere la folla che si è radunata fuori dal Terminal: la polizia ha creato un cordone per circondare con le transenne i manifestanti, ma sono comunque diverse migliaia che occupano tutto lo spazio antistante l’ingresso del Terminal. La composizione della folla è variegata e in festa: pur con una temperatura ben sotto lo 0, sono tantissimi i partecipanti di diverse etnie e culture. In maniera totalmente naturale, si vedono bambini dalla pelle chiarissima e dai capelli biondi, ragazze con il velo che portano cartelli scritti in arabo e cantano cori, vecchi militanti che distribuiscono volantini e militanti più giovani in felpa nera col cappuccio che hanno in mano striscioni inneggianti ad una politica di accoglienza. Molti cartelloni sono in solidarietà verso i musulmani o i rifugiati, molti sono contro Trump o l’amministrazione che rappresenta.
Si respira un’aria di voglia di cambiare, di voltare pagina: il patriottismo, ossia la cifra che contraddistingue molti discorsi che sono presenti, non manca. Bandiere americane che sventolano accanto a quelle palestinesi si distinguono chiaramente insieme a molti riferimenti al fatto che l’America è da sempre aperta all’immigrazione. “Immigrants and refugees make american greater” dicono alcuni cartelli ribaltando lo slogan di Trump. Riferimenti continui sono quelli a Trump, alle sue proposte e alle sue frasi che, dopo essere diventati memes, vengono ribaltate dai manifestanti. Prima tra tutte le sue dichiarazioni, quella riguardante il muro che dovrebbe separare gli Stati Uniti dal Messico. Cartelli in cui è scritto “Build a wall against racism and bigotry” o il coro “Build a wall? We’ll tear it down!” sono un chiaro esempio.
Il sentimento generale, come già detto, è di festa, di chi ha già vinto perché ieri sera si è già ottenuto un risultato con la pronuncia del giudice federale, di chi si sente di rappresentare quello che davvero è l’America e di non sentirsi invece rappresentato da Trump e dalla sua amministrazione. Di chi ha capito che in fondo la democrazia e la resistenza al fascismo vanno attuate tutti i giorni per le strade facendo sentire la propria voce. I momenti di aggregazione sono stati già molti e altri ne sono stati già convocati. Sabato prossimo, un presidio di fronte alla Trump farà il punto di quello che si è ottenuto con la campagna #NoBanNoWalls e il 19 febbraio un altro presidio farà il punto di quello che l’amministrazione Trump ha ottenuto in questo primo mese. Tra la riapprovazione del progetto DAPL, la fine del sostegno alle ONG a favore dell’aborto e il divieto di ingresso ai musulmani, le lotte che stanno condensandosi in un movimento vasto di opposizione a Trump sono molte e variegate e l’amministrazione Trump dovrà avere a che fare con dei mesi molti caldi. Sul piano politico, l’impeachment è dietro l’angolo (rispetto al conflitto di interessi di berlusconiana memoria e all’incostituzionalità del ban dei musulmani). Su quell’obbiettivo converge una marea che scaturisce da diverse lotte e istanze organizzandosi per ostacolare in tutti i modi l’agenda Trump.
di Tommaso Radicioni